Più l’universo hi-tech si fa spinto, più il modo di ragionarci su deve stare al passo. Anzi, deve farne almeno due in avanti, superandolo. Occorre cioè, insieme alle tecnologie innovative, cambiare approccio. E rivoluzionare mentalità. Ad esempio, sfruttando i vantaggi dello scambio fra virtuale e reale che è ormai requisito imprescindibile per cavalcare l’onda 4.0.
Sotto questo segno nascono le collaborazioni proficue tra aziende e università. Nel caso specifico fra la Cromodora Wheels e il team di ricerca guidato dalla prof.ssa Elisabetta Ceretti nel Dimi-Dipartimento di Ingegneria meccanica e industriale dell’Università degli Studi di Brescia.
Con una storia di più di mezzo secolo e clienti del calibro di Bmw, Porsche, Audi, Jaguar e Maserati, l’azienda di Ghedi che produce cerchi in lega ha deciso di finanziare il dottorato di ricerca di Gabriele Allegri in ingegneria meccanica e industriale nel gruppo di tecnologie e sistemi di lavorazione e residente al Collegio di merito Luigi Lucchini. Il motivo? Perché da anni il laboratorio in cui lavora Allegri sta sviluppando la virtualizzazione dei processi industriali, cioè tecniche e software per riuscire a simulare a livello virtuale un processo di lavorazione con il fine di ottimizzarlo e ottenere, fondamentalmente, un prodotto… quasi perfetto.
Focus del progetto di Allegri è la virtualizzazione del processo del flow forming, ovvero la fluotornitura, una tecnologia che consente di realizzare ruote più leggere e che la Cromodora sta – con successo – potenziando negli ultimi anni. In breve, si tratta di un processo di deformazione plastica a caldo: il componente grezzo (qui ruote con un canale più spesso e un’altezza inferiore rispetto a una ruota comune) viene posizionato su un mandrino, che viene messo in rotazione; poi due rulli lo sottopongono a una deformazione assiale e radiale in modo da ridurre lo spessore del canale ed aumentare l’altezza della ruota. A differenza delle ruote „comuni“, con la fluotornitura è possibile realizzare ruote più leggere ma anche più resistenti. Tradotto: macchina, da corsa o stradale, nel complesso più leggera, un sostanziale risparmio di carburante e meno emissioni di Co2.
Dall’interno della fabbrica, il lavoro di Cromodora è diventato poi il caso studio virtuale targato Unibs: «Quello che facciamo è, in sostanza, confrontare il processo reale con uno simulato a livello virtuale utilizzando il software Deform3D – spiega Allegri -. Con uno scanner 3D acquisiamo le ruote tridimensionalmente. Poi sovrapponiamo la geometria della ruota acquisita a quella ottenuta da simulazione, in modo da poter valutare gli scostamenti tra pezzo reale e oggetto simulato. In questo modo riusciamo a valutare l’influenza di tutti i parametri del processo, il che vuol dire che siamo in grado di modificarli poi nella lavorazione reale. E far funzionare meglio la macchina e ottenere una ruota migliore».
I vantaggi impliciti di questa tecnica sono numerosi. A cominciare dal fatto che vedere su uno schermo gli errori e correggerli, sempre virtualmente, fino a ottenere l’ok del monitor quando raggiungi il set dei parametri utili a ottimizzare il tuo prodotto, significa evitare sprechi nella lavorazione reale e velocizzare il processo. Non solo: valutando più parametri contemporaneamente è possibile realizzare ogni volta un prodotto customizzabile (personalizzato, come lo vuole il cliente), con una precisione elevata.
Ma è chiaro per tutti o solo a Cromodora Wheels e pochi altri? «Fino a quindici anni fa nelle aziende vinceva il vecchio approccio trial & error, prova e sbaglia – commenta la prof.ssa Ceretti -. Ma oggi la messa a punto sperimentale non è più fattibile, costa troppo. Bisogna sfruttare le università e il piano nazionale